41. Diretta a Montesordo

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CARTINA CONSIGLIATA

FRATERNALI scala 1:25.000 – Foglio 20

CATEGORIA/ZONA

ESCURSIONISMO - SU E GIÙ PER LA RIVIERA LIGURE

SCHEDA N. 41 

 

FOTO NOTEVOLI

FOTOPERCORSO VIRTUALE

 

INTRODUZIONE

Tutto il vasto settore montuoso compreso fra la Valle Urta (o Valletta di Montesordo) e la bassa Valle dell’Aquila, nell’immediato entroterra di Finale Ligure, è denominato genericamente Rocca Carpanèa. Si tratta in realtà di un complesso roccioso assai movimentato, costituito da diverse sommità che, se da qualche versante altro non sono che insignificanti rilievi boscosi, da altri mostrano imponenti pareti rocciose che ne evidenziano una spiccata individualità. La quota massima si trova all'estremità nord, dominante l'abitato di Feglino: è il Bric del Frate ( 388 m ), chiamato confidenzialmente dai locali "il gigante che dorme" a causa del caratteristico profilo rivolto verso l'Autostrada A10. Segue poi il cocuzzolo boscoso del Bric Grigio ( 365 m ), ai cui piedi si evidenzia il caratteristico pinnacolo roccioso chiamato " la Caffettiera " e, oltre la piccola valletta chiamata Valle Ercèa, al cui sbocco inferiore svettano le ardite guglie dei Tre Frati, la bellissima bastionata di Bric Scimarco (325 m. Oltre l'ampia sella boscosa del Colletto di Sant'Antonino, si evidenzia ancora il cimotto boscoso chiamato, appunto, Bric di Sant'Antonino, sede di un antico castello medioevale e di una antichissima chiesetta tutt'ora esistente. Il versante della Rocca Carpanèa rivolto alla Valle Urta presenta una serie di pareti rocciose assai caratteristiche ed imponenti, vero paradiso dell’arrampicata, che con le loro bastionate sorreggono l’altipiano sommitale: con questo itinerario andremo a riscoprire un antico passaggio, un tempo frequentato ma ormai sprofondato nell’oblio, che consente di superare queste bastionate nei loro punti deboli e di raggiungere la sommità dell’altipiano, in un viaggio storico-paleontologico tra i più meritevoli del Finalese.

 

PUNTO DI PARTENZA

a)    Da Finale Ligure (uscita della A10 Genova-Ventimiglia) si scende a Final Borgo, dove si parcheggia presso una delle due porte della città (parcheggi a pagamento nel periodo estivo).

 

ITINERARIO

Dalla centrale Piazza Garibaldi di Finalborgo si procede verso l’antico Tribunale lungo Piazza Aicardi. Seguendo un archivolto a destra si imbocca la tortuosa Via delle Fabbriche (segnavia VP della “Via del Purchin”, vedi anche itinerario n. 19 in senso inverso), che prosegue stretta fra le case verso lo sbocco della Valle dell’Aquila. Giunti ad un bivio presso i grandi lavatoi pubblici, si prosegue a sinistra lungo una stretta stradina pianeggiante (Via Romana), fra orti e vecchi coltivi. Con alcuni decisi cambi di direzione, sempre indicati dai segnavia VP, la stretta stradina raggiunge un gruppo di vecchie case ormai alla base dello sperone meridionale di Sant’Antonino, ultima propaggine della Rocca Carpanèa: presso un curioso spazio recintato dove vigilano numerosissimi nani da giardino (borgata Sottoripa), la stradina inizia a salire più decisamente, delimitata da alti muretti in pietra e dominata da un monumentale esemplare di pino marittimo. Con ripida ma breve salita si giunge alla caratteristica borgata Bolla, dove si incontra un bivio. Trascurata a sinistra la prosecuzione della “Via del Purchin”, si prosegue dritti, superando un archivolto: si continua ora su una mulattiera attraverso fasce abbandonate e antiche case, in gran parte restaurate.

Con un paio di tornanti in salita si incontra un bivio: si trascura la diramazione di destra diretta alla Cascina del Burlo (vedi anche itinerari n. 24 e n. 35) per continuare a sinistra, con un tratto di ripida salita lastricata che con fondo bagnato può risultare scivolosa (attenzione specie in discesa). Nuovamente pianeggiante, la mulattiera si inserisce nel solco della Valle Urta e, nei pressi dell’antica chiesa sconsacrata di San Benedetto, si inserisce nella stradina asfaltata proveniente da Perti Alto e diretta a Montesordo. Seguendo la comoda stradicciola si giunge in breve al piccolo agglomerato delle Case Valle, poste sul fondo della Valle Urta e dominate dal rosso appicco meridionale di Bric Scimarco (h 0,35 dal parcheggio).

Qui si abbandona la strada (palina) e, superato a destra il rio su un ponte in pietra, ci si inoltra fra le antiche case, sapientemente ristrutturate. Il sentiero (segnavia ●●●) risale con erti tornanti la sponda boscosa della valle: più in alto traversa verso sinistra, quasi in piano, transitando al sommo della falesia detta Placca di Case Valle, per poi riprendere la salita con altri tornanti nel bosco. Pochi metri prima di raggiungere il boscoso Colletto di Sant'Antonino ( 230 m ca., h 0,30 da Case Valle) si prende a sinistra una deviazione non segnalata (vedi anche itinerario n. 14) che scende con decisione nel bosco fra massi e paretine, segnalata da alcuni piccoli ometti di pietra. Discesi lungo un breve e stretto “canyon” originato da un grosso lastrone staccato, si continua con evidente percorso fino allo spiazzo boscoso dove si apre l’ingresso inferiore della Grotta dell’Edera (h 0,10 dal bivio). Per i particolari sulla visita a questa grotta, vedi itinerario n. 14.

Dalla grotta si prosegue costeggiando alla base la falesia rocciosa denominata “Parete Dimenticata”: con una prima breve risalita si passa presso un intaglio fra la parete vera e propria ed un grosso roccione staccato, quindi invece di proseguire in lieve discesa lungo la traccia più marcata ci si mantiene più alti, lungo un sentierino che rimane poco al di sotto delle falesie. Seguendo una ripida traccia che sale nel fitto bosco, si giunge in breve ad un poco marcato bivio: rimontando il ripidissimo ramo di destra per una specie di barra rocciosa fra gli alberi si giunge ad un minuscolo ripiano alla base di una parete verticale, con bella vista sulle Case Valle e Finalborgo (h 0,10 dalla Grotta dell’Edera). Da qui parte una cengia che scende subito con alcuni gradini artificiali intagliati nella roccia, vestigia di un vecchio passaggio ora dimenticato: dimenticato anche nella sua effettiva utilità, in quanto poco oltre la cengia si esaurisce su pendii e salti impercorribili.

Ritornati al poco marcato bivio sottostante, si prosegue sull’altro ramo che sale in diagonale fino alla base di una falesia (vie di arrampicata) dove si trovano i resti di un’antica piccola cava di pietre di epoca medioevale (h 0,05 dall’inizio della cengia).

Proseguendo lungo una traccia che costeggia la parete, si giunge alla base di un muretto che sorregge una soprastante ampia cengia in parte sovrastata da un antro: si tratta in realtà di un’altra spettacolare antica cava scavata in piena parete. Con 3 metri un po’ esposti di II° grado si può salire alla cengia (h 0,05 dalla cava precedente, bella vista sul fronteggiante Bric delle Anime), dove si notano sulla parete i segni delle opere di cavatura della pietra (segni di punte di utensili sulla roccia).

Proseguendo lungo le tracce che costeggiano le falesie, si scende leggermente a sinistra dove, fra gli alberi, si apre la piccola Grotta Sud-Est di Montesordo (h 0,05 dalla cava in parete). Si tratta di una bassa grotticella (non catalogata al catasto grotte) con resti di muro che si addentra per alcuni metri nella roccia. Al suo interno si trova una caratteristica roccia con vaschetta di raccolta dell’acqua (non è chiaro se di origine naturale o artificiale).

Scendendo brevemente nel bosco si ritrova il sentiero principale di accesso al settore di Montesordo: seguendolo in discesa verso Nord si giunge ad un ripiano ghiaioso (attenzione a sinistra al salto incombente!): traversando pochi metri a destra, si può visitare una grande e bellissima cava medievale (Cava di Montesordo, h 0,05 dalla grotta), recentemente ripulita e resa fruibile dall’amico Giorgio Massone. Sulla verticale parete di destra si possono notare: in basso, due differenti croci scolpite, in alto, oltre a due vecchi chiodi da arrampicata (probabili resti di qualche vecchio tentativo di salita) la curiosità principale del sito. Si tratta di un’inequivocabile “666” scolpito nella roccia, forse un arcano riferimento “maledetto”?

Proseguendo sul sentiero che scende nel bosco, poco dopo si devia per una traccia a destra che risale brevemente fino ad un ripiano nel bosco (antica carbonaia) poco sotto il “Settore Centraledi Montesordo, da dove si diramano diverse tracce di sentiero. Si segue la traccia che sale a destra, in direzione del Settore Centrale: dopo poche decine di metri, ad un nuovo bivio, si procede a sinistra, in salita diagonale, fino ad intercettare una più marcata traccia (che stacca poco oltra la carbonaia). Seguendola in salita, con numerose svolte si giunge ai piedi di una parete rocciosa, dove imponenti resti di muri a secco indicano l’attacco dell’antico sentiero (h 0,15 dalla cava “666”).  

Sfruttando un breve terrapieno artificiale si raggiunge una stretta cengia che taglia la parete rocciosa: gli alberi mascherano in parte l’esposizione, che in questo breve passaggio () è in realtà assai pronunciata. Con ardito traverso su roccia giallo/rossastra si giunge ad un terrazzino, da dove con breve passo in salita (I°+) si guadagna il ripido bosco soprastante (bellissima veduta, alle spalle, sull’imponente pilastro del Settore Centrale di Montesordo). Si rimonta per tracce di animali (l’antico sentiero è in questo tratto scomparso) l’erto pendio boscoso, facendo attenzione a non scivolare (l’esposizione del pendio resta notevole, anche se la vegetazione in parte la mitiga). Giunti alla base della fascia rocciosa soprastante (in alto a sinistra si aprono due piccole grotticelle, una in parete, l’altra a terra), si traversa orizzontalmente a destra fino ad uno speroncino roccioso. Scavalcatolo, appare alla vista una breve cengia rocciosa artificiale che consente di superare (sempre con la dovuta attenzione) una liscia placca inclinata. Proseguendo per tracce di animali, si traversa in diagonale il ripido bosco alla base di altre fasce rocciose (salendo brevemente a sinistra, si raggiunge in breve una zona rocciosa lavorata che ricorda il celebre “Urlo” di Munch). Al termine della diagonale si raggiunge un ripiano fra gli alberi dove si apre un grottino con resti di muro e, all’interno, una curiosa pietra ovale probabilmente risultato di lavorazioni umane. A destra del grottino si prosegue lungo le rocce (immediatamente a destra dell’ingresso si notano resti di cavatura di materiale, probabilmente utilizzato per il muro) e, attraverso alcune cornici () si giunge allo sbocco inferiore di un breve canalino. Risalitolo (qualche passo di ) si guadagna la sommità dell’altipiano, da dove in breve si intercetta il “Sentiero Ermano Fossati” (h 0,35 dall’attacco dell’antico sentiero).

Seguendo il sentiero verso destra, pressoché in piano, dapprima attraverso il bel bosco sommitale e poi tagliando i contrafforti occidentali di Bric Scimarco (bella veduta sul Castrum Perticæ), si discende al Colletto di Sant’Antonino (230 m ca., h 0,25 da dove si incontra il sentiero).

Seguendo in discesa il comodo sentiero verso destra, si lascia quasi subito una deviazione non segnalata verso destra (vedi itinerario n. 14), ritrovando poi subito dopo quella già percorsa all’andata diretta alla Grotta dell’Edera.

Seguendo il sentiero principale già percorso all’andata si ritorna a Case Valle e, quindi, a Sottoripa e a Finalborgo (h 1,00 dal Colletto di Sant’Antonino).  

 

TEMPO TOTALE

h 5,00 circa 

DISLIVELLO

450 m circa

DIFFICOLTA’

EE (alcuni passi esposti e delicati di I° grado, orientamento non sempre evidente)

ULTIMO SOPRALLUOGO

5 gennaio 2020

PERIODO CONSIGLIATO

dall'autunno alla primavera

COMMENTI

Bellissimo percorso di interesse sia panoramico che storico, andando a riscoprire un antichissimo (ed ormai dimenticato) passaggio diretto per raggiungere la sommità dell’altipiano. Anche se sembra impossibile, molti anni fa in questi luoghi così selvaggi fervevano le attività agricole, come testimonia l’imponenza dei lavori svolti per rendere percorribile questo itinerario (muraglioni, cenge scavate artificialmente, fasce, ecc …). Oggi, grazie alle esplorazioni dell’amico Giorgio Massone, queste opere costate tanta fatica ai nostri avi non si sono del tutto perse nell’oblio.