Ritornati
sulla stradina asfaltata, la si percorre in discesa per poche decine di
metri: lasciato il sentiero a sinistra per
la Cascina Buio
, si continua a scendere fino al pittoresco agglomerato delle Case
Valle (
131 m
).
Qui
si abbandona la strada e, superato il rio su un ponte in pietra, ci si
inoltra fra
le antiche case, sapientemente ristrutturate. Il sentiero
(cartelli in legno e segnavia ●●●) risale con erti tornanti la sponda boscosa
della valle: più in alto traversa verso sinistra, quasi in piano,
transitando al sommo della falesia detta Placca di Case Valle (bel
panorama), per poi riprendere la salita con altri tornanti
nel bosco. Lasciate sulla sinistra un paio di ravvicinate diramazioni
pianeggianti, si giunge in vista del boscoso Colletto di
Sant'Antonino (
230 m
ca., h 0,30 da Case Valle).
Seguendo
i segnavia lungo il crinale a destra, si raggiungono prima i
ruderi del “Castrum Perticæ”,
antico castello medioevale del IX°-X° secolo, poi, superato un tratto
in cui risultano evidenti i
resti di numerose antiche abitazioni, si raggiunge la cima
del cocuzzolo boscoso, dove sorge l'antichissima chiesa
di Sant'Antonino (
284 m
).
La
chiesa, recentemente restaurata, è
visitabile (si raccomanda il massimo rispetto!): molto
interessante è la discesa nella piccola
cripta, dove sorge ancora l'altare originario, purtroppo in
parte manomesso da ignoti (ed ignoranti!) teppisti. Dalla chiesa si può
effettuare il giro della sommità dell'altura, con belle vedute su
Finale (a destra), sull'impressionante paretona
rossastra del Bric Pianarella e sulla
bastionata di Bric Scimarco (a sinistra): prestare la massima
attenzione ai salti rocciosi imminenti!
Tornati al Colletto di
Sant'Antonino, e trascurata la prosecuzione verso destra del sentiero
verso i “Tre Frati” (vedi
itinerari
n. 8
e
n. 24), si scende lungo la mulattiera di salita per alcune
decine di metri, per imboccare la
superiore delle due diramazioni incontrate in precedenza:
questa prosegue pianeggiante nel bosco lungo un’ampia cengia, ben
marcata anche se priva di segnavia. Una breve rampetta, scomoda a causa
del chiaro ghiaìno molto friabile che ricopre il terreno in questo
tratto, consente di raggiungere uno
spiazzo da dove appare, verso monte, un’evidente rientranza
di parete. Raggiunta la rientranza, ci si ritrova all’interno di
un’antichissima cava
di pietra, dalla quale si presume siano stati estratti i
blocchi utilizzati per la costruzione del castello e della chiesa.
Ancora assai evidenti risultano i
segni dell’estrazione dei blocchi squadrati e del lavoro
“a
punta di scalpello”
effettuato dagli sconosciuti operai. La fruibilità
dell’interessantissimo sito è possibile grazie all’assidua ed
instancabile opera dell’amico Giorgio Massone, del C.A.I. di Loàno.
Di qui, continuando lungo
l’ampia cengia che taglia orizzontalmente una strapiombante
parete rocciosa, si raggiunge un comodo terrazzo da dove ci si può
affacciare, con molta circospezione, al finestrone che immette nella
sala superiore della spettacolare Grotta
dell’Èdera (h
0,20 da Sant’Antonino, attenzione al salto sottostante!),
sormontato da
un caratteristico e bellissimo arco naturale. Ottimo panorama
anche su tutta la breve Valle Urta fino alle case di Final Borgo.
Purtroppo, il proliferare di molte nuove vie d’arrampicata
all’interno della grotta ha fatto si che la grande pianta di èdera
(che un tempo ricopriva gran parte delle pareti interne della grotta e
che ne giustificava il nome) sia oggi praticamente scomparsa.
Trascurata la poco affidabile corda
fissa che, legata attorno ad un albero, scende nella grotta (qui
giungono anche alcune vie alpinistiche, come ad esempio “Capriccio
Diagonale”), si ritorna indietro fino a re-incontrare la
mulattiera con segnavia ●●●:
la si segue in discesa per pochi metri, quindi di imbocca, ancora a
destra, la
seconda diramazione (quella inferiore delle due già
incontrate in salita). Questa scende nel bosco fra massi e paretine,
segnalata da alcuni piccoli ometti di pietra: discesi lungo un breve e
stretto “canyon” originato da un grosso lastrone staccato, si
continua con evidente percorso fino allo spiazzo boscoso dove si apre l’ingresso
inferiore della Grotta
dell’Èdera (h
0,10 dal finestrone superiore).
La cavità si allarga subito in un
ampio antro sbarrato dopo una decina di metri da un grosso
accumulo di materiale di crollo dai riflessi rossastri. Il soffitto,
molto alto, si presenta in
forma di cupola a spirale,
a
testimonianza dell’impetuoso vortice ipogeo che ne ha causato la
formazione. Una corda fissa (da verificarne l’affidabilità!) consente
di rimontare sulla destra la colata di pietre cementate e, attraverso
uno stretto foro, di raggiungere la spettacolare sala superiore, di
forma cilindrica ed a cielo aperto, già osservata precedentemente
dall’alto (attenzione al fondo viscido, necessaria la lampada
frontale).
Usciti dalla grotta, si prosegue
verso destra, costeggiando alla base la falesia rocciosa denominata
“Parete Dimenticata”: con una prima breve risalita si passa presso
un intaglio fra la parete vera e propria ed un grosso roccione staccato,
quindi si prosegue in lieve discesa nel fitto bosco finchè il sentiero
non inizia a salire con decisione il ripido pendio. Fra gli alberi, si
effettua una serie di erti tornanti fino ad un ripiano fra gli alberi
(antica carbonaia) poco sotto il “Settore Centrale” di Montesòrdo,
da dove si diramano diverse tracce di sentiero. Si prosegue pressoché
in quota (ometti), lungo una traccia attraverso arbusti e roccette, e si
raggiunge in breve l’ampia radura antistante la falesia denominata
“Placca di Mu”. Trascurando la traccia che, verso sinistra, scende
verso
la Cascina
del Buio e le Case Valle, si sale leggermente verso destra e si giunge
nei pressi della spettacolare parete
dell’Alveàre,
che si raggiunge risalendo per una cengia diagonale un breve saltino
roccioso (h 0,20 dalla Grotta dell’Èdera).
Si tratta di una delle più
spettacolari falesie del Finalese grazie alla roccia, ricca di erosioni
multicolori e dall’incredibile lavorazione
“a buchi” che ricorda, appunto, le celle di un alveàre.
Un’ampia cengia-terrazza,
sospesa a guisa di balconata alla base della parete, rende il posto
particolarmente panoramico e fotogenico.
Dall’Alveàre si prosegue lungo
il comodo sentiero che, rientrato nel fitto bosco, effettua un paio di
tornanti in discesa, quindi traversa nuovamente in piano verso destra
nel fitto della vegetazione e risale poi leggermente fino ad uscire presso
l’imboccatura della bellissima Arma
du Prinsipà (o Grotta di Martino, h
0,05 dall’Alveàre), chiusa in basso da un bellissimo muro
di pietra giallastra in cui si apre un
ampio portale con imponente architrave monolitico.
All’interno, oltre l’ampio
salone di ingresso ed un
breve corridoio, la grotta prosegue con un ambiente pressoché
circolare assai esteso e molto alto, percorribile con facilità ma con
la dovuta attenzione (fondo scivoloso, necessaria la torcia elettrica).
Verso sinistra, dietro una quinta di roccia, si apre un terzo ambiente,
più piccolo del precedente ma con alcune belle concrezioni. Presso
l’ingresso si può ammirare anche un’antichissima
vasca scavata nella roccia, che presumibilmente serviva da
contenitore ai paleo-abitanti della caverna.
Usciti dalla grotta, si scende nel
bosco seguendo un evidente sentiero che, tendendo a destra, si porta
presso l’inizio della falesia denominata “le
Tècchie”: costeggiato in salita il piede della parete, si
riprende a scendere e, con diverse svolte nel fitto bosco, si raggiunge
l’ampia mulattiera di fondovalle. Seguendola in piano verso destra, si
raggiunge velocemente un bivio: trascurata la diramazione di sinistra,
diretta a Montesòrdo, si prosegue dritti, in leggera salita, in
direzione di Pian Marino (segnavia ●●). Dopo poche decine di
metri, però, si abbandona anche questo segnavia per seguire, a destra,
una marcata traccia che inizia a rimontare il bosco (ometti e tacche ▬). Con percorso ripido la
traccia supera con numerose svolte una zona con paretine e grandi massi
e, ormai in vista di un ombroso anfiteatro roccioso, traversa verso
sinistra fino all’ampio ingresso della spettacolare Grotta
della Pollèra (h
0,15 dall’Arma du Prinsipà).
La cavità è costituita da un
vastissimo antro dal pavimento in leggera discesa,
fiancheggiato a sinistra da un
bellissimo arco naturale. Il proseguimento vero e proprio
della grotta è a destra, dove un
ripido scivolo di terriccio si inabissa nel sottosuolo, ma la
cui esplorazione (seppur non molto impegnativa) richiede l’utilizzo di
tecniche speleologiche e di adeguate attrezzature ed esperienza.
Dalla grotta ci si dirige a
sinistra, sottopassando l’arco naturale e raggiungendo il successivo
ripiano boscoso: da qui si risalgono le facili roccette che, con
percorso evidente, consentono di sormontare l’arco stesso (attenzione
al salto sottostante). Proseguendo lungo un’evidente traccia nel
bosco, si traversa in leggera salita verso sinistra, con belle vedute
sulla parete Nord della Rocca di Perti, fino ad intercettare un più
marcato sentierino (segnavia ▬)
proveniente dalla testata della Valle
Ercèa (vedi itinerario
n. 8). Seguendolo in discesa, verso sinistra, si raggiunge in
poco tempo il ciglio del ripido scivolo terroso che si insinua nella
cavità denominata Grotta
della Pozzanghera (h
0,15 dalla Grotta della Pollèra).
La visita della grotta è facile, anche se non
particolarmente interessante (necessaria la pila): scesi in breve alla
vasta imboccatura, si scende con prudenza (fondo di terriccio spesso
bagnato e scivoloso) nel grande camerone in discesa, che termina in
basso in un ripiano con massi. Prima dell’ultimo tratto di discesa, a
sinistra si trova uno spiazzo sulla cui volta si trovano innumerevoli
scritte, ottenute incidendo il tenero materiale (quasi un
fango) del soffitto, che a prima vista sembra roccia.
Usciti
dalla grotta, si prosegue brevemente
in discesa, sempre seguendo i segnavia ▬,
fino a ritrovare la larga mulattiera con segnavia ●●,
ormai a poca distanza da Pian
Marino.
Si
continua brevemente lungo l’evidente sentiero che, verso sinistra,
pianeggia nel bosco: quando il fondo si fa roccioso e il sentiero tende
a scendere decisamente, lo si abbandona per imboccare una poco evidente
traccia a sinistra che rimonta il pendio boscoso. Salendo decisamente in
diagonale, si raggiunge una banca rocciosa fra fitta vegetazione:
seguendola ora pressochè in piano, si giunge ai piedi di un breve
pendio dominato da una parete rocciosa, nella quale si apre la
spettacolare Arma di
Sant’Eusebio (h
0,15 dalla Grotta della Pozzanghera).
Si
tratta di un altissimo antro chiuso in basso da un
antico muro di pietre a secco, in cui si apre un caratteristico portale
a sommità triangolare (piuttosto inconsueto). L’interno, molto
spazioso, si presenta ingombro di numerosi massi di crollo.
Sul fondo della grotta, sulla parete in faccia all’ingresso, si apre un
angusto foro che permette, con qualche contorsione,
l’accesso ad una camera interna, più piccola rispetto a quella
principale ma con andamento pressappoco parallelo a questa, in cui si
possono osservare alcune belle concrezioni e colate
(necessaria la pila).
Ritornati
sul sentiero principale, si scende dolcemente nel fitto bosco di fianco
al piccolo rio fino a ritrovare il bivio per
la Grotta
della Pollèra: con pochi passi, si raggiunge il secondo bivio.
Svoltando a destra, si segue un comodo sentiero nel bosco e, con
brevissima risalita, si raggiunge una carrareccia presso la sconsacrata
chiesetta di San Carlo. Subito oltre, si incontra l’antico nucleo di
Montesòrdo, sapientemente ristrutturato e tutt’ora abitato
stabilmente. Fiancheggiata una lunga casa, si abbandona temporaneamente
la carrareccia per seguire a sinistra una mulattiera lastricata che
ritorna sulla carrareccia a valle di un ampio tornante quindi, sempre
lungo la stradina, attraverso bellissimi uliveti si raggiunge il piccolo
parcheggio alla testata della Valle Urta (h
0,20 dall’Arma di Sant’Eusebio, paline, tabelloni, tavoli
e panche).
Dal
parcheggio si imbocca ora la stradetta sterrata, e poi cementata, che si
dirige verso destra (Nord) in moderata salita, seguendo i segnavia del
nuovo “Sentiero Ermano Fossati”. Superate alcune case, si abbandona la
stradetta per proseguire lungo un’evidente sentiero (sempre segnavia ___) che prende a risalire il bosco con una decisa serie
di tornanti. Presso un deciso tornante verso sinistra, si abbandona il
sentiero principale per seguire una labile traccia sulla destra, che
sale ripida lungo un solco boscoso fino in una zona di imponenti
muraglioni a secco. Raggiunta un’ampia fascia dove vecchi olivi
resistono alla morsa del bosco, si continua in piano verso destra.
Giunti presso un curioso massi al cui interno vegeta un grosso leccio
(in basso, fra i rami, si intravede una casa), si abbandona la fascia
pianeggiante per salire a sinistra, lungo vaghe tracce fra erba e
arbusti. Si sale lungo un’antica scalinata di pietra, quindi si
prosegue sulla traccia che raggiunge un ampio ripiano di sterpaglie
(bella veduta sulla fronteggiante Rocca di Perti). Attraversato il
ripiano, si prosegue verso destra, al limite inferiore del bosco, su un
malagevole fondo di pietrame mobile. Rientrati nel bosco, con
un’ultima breve salita si giunge allo spiazzo antistante la bellissima
Grotta
di Montesordo (h 0,20 dal parcheggio).
La
cavità, un grande antro che si apre in un’alta parete rocciosa con
belle striature giallo-rosse, è chiusa da un muro intonacato in cui si
apre una
pregevole porta ad arco a tutto sesto, in cui è ancora
visibile in basso un antico cardine. Sulla destra della porta in alto si
trova una sorta di “ballatoio” (difficilmente raggiungibile), in
origine protetto da un parapetto in pietre a secco oggi purtroppo in
gran parte crollato. Nello spazioso interno si trova, sulla sinistra, un
altro muro che delimita un vano in cui si trovano ancora i
travi di legno che sorreggevano un’antica copertura
(probabilmente in legno o paglia). In alto, presso la sommità della
volta, si nota un foro parzialmente chiuso da un muretto a secco: a
quest’apertura fa capo un cunicolo il cui ingresso si trova al sommo
della parete rocciosa in cui si apre la grotta principale, ma il cui
percorso richiede una calata a corda ed è pertanto da sconsigliare agli
inesperti.
Ritornati
al parcheggio, non rimane che seguire in discesa la stretta stradetta asfaltata (segnavia VP, vedi anche
itinerario
n. 19) che, in discesa nel bosco, ritorna rapidamente fino
alle Case Valle (h 0,15 dal parcheggio superiore).