Dalla piazza di Colletto si segue a
ritroso la strada di accesso per qualche decina di metri, fino al primo
tornante: qui si stacca a destra una stradina, ancora asfaltata, che
sale con un ulteriore tornante fino ad un piccolo parcheggio a monte del
paese (tabelle segnaletiche). Prima di raggiungere il parcheggio una
palina indica, sulla sinistra, lo stacco della mulattiera per Narbona:
con percorso pressoché pianeggiante la mulattiera taglia alcuni piccoli
valloncelli e si porta sulla selletta chiamata “Posa
dei morti” (qui, su di una sorta di altare in pietre a secco, il
parroco di Colletto si recava a prelevare i defunti di Narbona per
accompagnarli in chiesa per le esequie). Una breve salita consente di
raggiungere l’antico Pilone
di Narbona (
1375 m
), posto su di un panoramico sperone roccioso all’ingresso della selvaggia
Comba di Narbona.
La mulattiera, molto ben tracciata,
si inoltra sulla sinistra idrografica della comba, con poco
faticosi saliscendi: superando piccoli rii e vari speroni
rocciosi (alcune funi metalliche, un po’ eccessive, nei passaggi più
esposti) il tracciato raggiunge il punto in cui lo stretto vallone si
orienta con decisione verso ovest. Qui una palina indica, a sinistra, lo
stacco del sentiero (tracce) che scende direttamente a Campomolino,
sconsigliabile per i precari guadi sul Rio di Narbona.
Una breve salita in un boschetto e
si tocca la scoscesa radura dove sorgono i
ruderi di un grande casolare (“Il
Tec’”,
1406 m
): raggiunto l’alveo
roccioso di un rio, lo si supera e si sale con qualche
tornante lungo la sua destra idrografica, quindi si prosegue nel bosco
con lungo traversone in salita fino alle
prime case della borgata Narbona
(“L’Arbona”,
1495 m
, h 1,20 da Colletto).
Costruita su un ripido pendio
roccioso sulla sinistra idrografica della comba, Narbona è stata, in
passato, una delle più popolose frazioni di Castelmagno: dalle cronache
parrocchiali, si evince che nel 1755 contava 117 abitanti, addirittura
144 nel 1897 e 98 nel 1932 (cioè sempre ben di più della più comoda
borgata Colletto). Le sue origini sono incerte, così come la sua stessa
denominazione: su vari atti ufficiali della seconda metà
dell’Ottocento si alternano infatti i termini “Narbòna” e “Arbòna”,
senza chiarire fino in fondo quale dei due sia il più corretto.
L’origine più accreditata del toponimo sembra l’occitano “arbou”,
cioè “albero”: ormai poco verosimile appare il collegamento con la
città di Narbònne, in relazione ad ipotetici emigranti francesi,
Pare che i capostipiti dei
Narbonesi siano tali Arnèodo, che una leggenda locale narra si siano
stabiliti quassù perché banditi in cerca di un rifugio sicuro: se ciò
fosse vero, di certo col tempo le cose cambiarono, perché gli abitanti
di Narbona godettero a lungo fama di genti tra le più buone e generose
del territorio di Castelmagno.
Nel 1962 le ultime 11 famiglie
residenti nella borgata, esasperate dalle precarie condizioni di vita e
dall’estenuante isolamento invernale, abbandonarono le loro case e si
trasferirono altrove: da allora la borgata è completamente disabitata.
Oggi la visita della borgata è un
salto indietro nel tempo: le case, in gran parte diroccate, raccontano
ognuna una storia, fatta di sacrifici, speranze, lotte continue contro
una natura selvaggia ed inospitale. Con attenzione, evitando di entrare
nelle costruzioni (a rischio di crolli), si può ancora osservare la
graziosa chiesetta della Madonna della Neve, con
i banchi ordinatamente allineati nell’unica navata, la
piccola scuola e mille altri angoli che testimoniano di una vita
semplice e rude, ma autentica.
Durante
la Resistenza
, Narbòna ospitò il rifugio di un nucleo partigiano guidato da Nuto
Revelli, autore del bel volume “La guerra dei poveri”: “Alle ore 7
appare Narbona, come un muro, un enorme muro a secco. Le case sono una
sull’altra, come i dadi nei giochi dei bambini. Niente strade, ma
scale. I tetti non si vedono, tanto le baite sono addossate”.
La mulattiera si mantiene sulla
destra delle case e, con alcune svolte sul ripido pendio, raggiunge un
bivio a monte della borgata (paline): trascurato il ramo di sinistra,
diretto alla Bassa di Narbona ed al Passo Crosetta, si prosegue a
destra, lungo un
bel sentiero pianeggiante che sfiora ancora alcune case e poi
traversa i ripidi pendii boscosi alla base di erte paretine rocciose.
Con lungo traversone il sentiero raggiunge un piccolo colletto alla base
di una parete rocciosa (punto
panoramico verso valle): superato un incassato rio, si sale
brevemente fino al riattato alpeggio di Coulbertrand,
restaurato nel 2004 grazie a fondi della Comunità Europea, e utilizzato
per la produzione del formaggio Castelmagno a contatto diretto con il
pascolo.
Da qui si origina una malridotta
carrareccia che, proseguendo
a traversare in piano i ripidi pendii pascolivi, si porta ad
un marcato colletto a monte delle rocciose
Rocche la Bercia, al piede del lungo costone erboso denominato Cresta del Balou, che si origina nei pressi della vetta della Rocca
della Cernauda. Abbandonata la carrareccia, che divalla nell’attiguo Vallone
di Valliera (bella veduta aerea sulla
sottostante omonima borgata), poche decine di metri prima del
colletto, si segue una
breve diramazione a sinistra che raggiunge il filo del
costone, dove termina fra alte erbe.
Da qui una traccia, a tratti
alquanto labile, rimonta il
crestone erboso proprio sul filo, lungo la linea di massima
pendenza: alcuni segni rossi e, più in alto, diversi
paletti segnavia indicano il percorso, ma in ogni caso
l’orientamento è piuttosto semplice, essendo sufficiente mantenersi
costantemente sul filo del crinale. Superati diversi spalloni erbosi,
con percorso sempre molto ripido e faticoso, le tracce sfiorano un paio
di spartani
ricoveri e, con un ultimo ertissimo tratto, raggiungono la
cresta sommitale presso un arrotondato testone erboso leggermente ad est
della cima della Rocca (
2170 m
, paline, h
2,30 da Narbona), dove si incontrano i segnavia della
“Curnis Auta”.
Non rimane ora che seguire, verso
sinistra, la
dorsale pascoliva che in lieve salita raggiunge la base del
più ripido pendio finale, che si aggira a destra per raggiungere la
vetta della Rocca della Cernauda
(2284 m
, h 0,15 dalla sommità della Cresta
del Balou). Dalla vetta si gode di ampio
panorama sulla testata di Val Grana, sulle principali vette
delle Alpi Liguri e Marittime e, dalla parte opposta, sulla media Val Maira
e sulla piramide del Monviso.
Ritornati in breve alla sommità
della Cresta del Balou, si prosegue ora lungo i segnavia della “Curnis
Auta”, che presto iniziano
a scendere con decisione verso destra, alla testata del
pascolivo Vallone di Valliera.
Con diverse svolte (paletti segnavia, vaghe tracce) si perde quota fra i
prati, quindi si taglia uno scosceso tratto roccioso ai piedi della Rocca
Albert (a sinistra, una palina indica la variante per il filo di
cresta, un po’ esposta, EE). Proseguendo invece a traversare in lieve
discesa, per petrosi pascoli, si raggiunge un tratto più dirupato, dove
il sentiero percorre una serie di comode cenge intagliate nel quasi
verticale pendio erboso. Raggiunta una valletta pascoliva, si
sale con alcuni tornanti alla successiva sella, nuovamente
sul crinale, dove ci si ricongiunge con la variante più impegnativa
(altra palina).
Si prosegue lungo il crinale,
badando a non perdere di vista per troppo tempo i segnavia (le tracce
sono a tratti poco marcate o del tutto assenti) con alcuni saliscendi
anche un poco faticosi, finchè un
ultimo breve pendio erboso conduce sull’arrotondata vetta
del Monte Plum (2091 m, h 0,35
dalla Cresta del Balou, piccola croce realizzata incrociando due rami di
larice). Sull’opposto versante non si può non notare l’enorme
masso (da qui somigliante ad un gigantesco fungo) che torreggia poco più
in basso.
Si scende dalla parte opposta, per
prati e massi, in lenta discesa: si passa poco sotto il gigantesco masso
(da qui se ne apprezza la reale conformazione, costituita da
due
grossi roccioni addossati l’uno all’altro e formanti una
caratteristica finestra) e si prosegue per l’ampio
spartiacque. Giunti ad una selletta, si aggira il successivo rilievo
erboso sul versante Màira (dall’altra parte costituito da un caotico
ammasso di detriti) e si raggiunge con un breve tratto di salita ripida
la sommità di un ennesimo rilievo erboso. I paletti segnavia guidano
ora leggermente verso sinistra, lasciando davanti a noi il breve crinale
che, oltre la costruzione diruta di un gias, precipita repentinamente
nel Vallone del Rio dei Cauri: questa fascia rocciosa, molto
caratteristica, è chiamata Bars
la Chiau.
Scendendo invece inizialmente lungo
lo spartiacque principale, e poi tagliando a mezza costa i ripidissimi
pendii pascolivi dell’alto Vallone dei Cauri, si raggiunge finalmente
l’ampissima
insellatura pascoliva del Colle della Margherita (
1984 m
, h 0,40
dal Monte Plùm, paline), tra il Vallone dei Cauri (Val Grana) e il
Vallone di Rio Albert (Comba di Paglieres – Val Maira).
Si abbandona a questo punto la
“Curnis Auta” (diretta al lontano Colle del Gerbido) e si scende a
destra, in diagonale per il vasto prato moderatamente inclinato.
Raggiunta una marcata traccia, la si segue verso destra, mentre scende
tagliando in lungo traverso la testata del Vallone
dei Cauri. Gradualmente il sentiero, molto ben tracciato, si
avvicina ai dirupi delle Bars la Chiau
e le traversa, in un susseguirsi di dentro e fuori, attraverso aerei
colletti su cui vegetano isolati esemplari di larici. Superata una
grangia diruta, si giunge all’insellatura nota come “Il
Passetto” (
1913 m
), che consente di svalicare dal Vallone dei Cauri in quello attiguo di
Valliera. Sempre traversando, ma da qui in poi anche scendendo con
decisione con numerosi tornanti sui pendii pascolivi, si attraversa un
breve boschetto e si raggiunge la spalla erbosa dove sorgono le
antiche Grange Sarià
(
1750 m
, h 0,25 dal colle). Nei pressi si
notano anche alcune costruzioni più moderne, e qui arriva anche la
carrareccia da Colletto, attraverso la borgata Valliera.
Si prosegue dunque lungo la
carrareccia in discesa fino all’altezza del primo tornante: qui,
presso una piazzola, alcune paline indicano lo stacco, leggermente sulla
sinistra, della vecchia mulattiera per Campofei. Si segue dunque questa
mulattiera, che inizialmente discende con diversi tornanti un ripido
pendio erboso, quindi si allunga con un traversone in discesa più
moderata nel
rado lariceto. Con altri tornanti, sempre fra rado bosco, si
sfiorano alcune grange dirute e si giunge ad un nuovo bivio presso un
grande larice (paline): trascurate a sinistra le tracce dirette alla
borgata Cauri e a Cialancia
(EE), si prosegue a destra, pressoché in piano, su un
tratto di mulattiera delimitata da un massiccio muro di pietre a secco
sul lato a valle. Incontrando sempre più segni dell’antica civiltà
contadina che qui si è sviluppata in passato, si riprende la discesa in
diagonale fino ad un ennesimo bivio: tralasciato il ramo di destra, in
salita, diretto ancora a Valliera, si prosegue a sinistra, in moderata
discesa. Aggirato un costone, ormai nel bosco, appaiono all’improvviso
le
prime case di Campofei (borgata Grange
o Campofei Soprano,
1510 m
). Dalle porte spalancate delle antiche, dirute abitazioni è possibile
cogliere numerosi
spaccati di vita montanara. L’abbandono della borgata, pur
essendo palese, non riesce ad annullare completamente il senso di calore
che ancora si respira fra le case.
Attraverso
ripide viuzze si
scende velocemente a valle delle case, dove si incontra una pista
forestale proveniente da Valliera ed un grande campo seminato ad erbe
officinali.
Oltre la stradetta si raggiungono
le case del nucleo principale di Campofei
(o Campofei Sottano,
1469 m
, h 0,40 dalle Grange Sarià). Al
contrario della vicina borgata soprana, qui sono attualmente in corso
(2013) diversi lavori di ristrutturazione delle antiche case e della
caratteristica chiesetta di San Giacomo.
Si continua a scendere a valle
della borgata, rientrando nel fitto bosco: superate le ultime case, si
scende per breve tratto e si incontra un nuovo bivio. Trascurato il ramo
che prosegue dritto in discesa verso la borgata Croce,
si segue quello che volge a destra e, con percorso comodo e non troppo
ripido nel lussureggiante bosco, sfiora ancora i
pochi ruderi di Albrè
e di Sarsa, dopo di che,
superati un paio di rii, prosegue il suo lungo traverso fino ad
incontrare il Pilone
del Sacro Cuore. Poco oltre, ad un ennesimo bivio, si
trascura la diramazione di destra, che sale verso Valliera, e si
prosegue a sinistra, nuovamente in lenta discesa.
Il Pilone
di Sant’Antonio Abate precede di poche decine di metri le case
della borgata Colletto (
1272 m
, h 0,30
da Campofei Sottano), raggiungibili abbandonando la carrareccia ad un
tornante e proseguendo dritti per una stretta viuzza.
Dalla piazza del paese (fontana),
proprio di fronte alla chiesa di Sant’Ambrogio, si
prosegue per un vicoletto a destra che, attraverso un arco di
pietra, riconduce alla piazza dov’è il parcheggio.